La crisi pandemica ridefinisce in modo radicale il legame fra Università e società. I processi di digitalizzazione della didattica aprono un campo di tensione nella fruizione del sapere alzando nuove barriere di accesso agli studi e soglie di esclusione che fanno saltare il rapporto fra università, città e studenti e studentesse. Il Recovery Fund and Plan promette per l’Università finanziamenti senza precedenti, ma anche un profondo ripensamento della sua funzione e delle sue strutture. Il suo piano di applicazione intende piegare i bilanci degli atenei in maniera sempre più univoca alle priorità stabilite dal tessuto produttivo. In questa cornice l’Università diventa una vera e propria appendice delle imprese, dove la trasmissione di un sapere povero e standardizzato è determinato dall’affermazione di logiche privatistiche e imprenditoriali che penalizzano tutte le figure che vivono gli atenei – in particolare là dove la forza lavoro qualificata e semi-qualificata, precaria e differenziata, formata dall’Università è messa in produzione sulla base del diverso grado di corrispondenza tra percorsi di studio e necessità delle imprese. Da questo punto di vista, abbiamo individuato alcune questioni e rivendicazioni a partire dalle quali costruire una critica delle tendenze che investono l’università nel suo rapporto con la città.
Gli studenti e le studentesse, e le loro famiglie, stanno affrontando enormi difficoltà economiche a causa della crisi. In molti hanno perso il lavoro o si trovano costretti a fare più lavori che tolgono tempo allo studio, mentre non garantiscono un reddito adeguato a pagare l’università. Eppure, le agevolazioni per gli alloggi e le tasse, le borse di studio e i permessi di soggiorno per studio continuano ad essere concessi in base a requisiti di reddito e merito inadeguati e arbitrari, superati dalle condizioni pandemiche di lavoro e studio. Mentre i servizi – biblioteche, sale studio, aule didattiche e mense – sono drasticamente ridotti, UNIBO pretende che le tasse siano regolarmente pagate e il criterio dei crediti per poter usufruire delle borse di studio e rinnovare il permesso di soggiorno funziona a pieno regime. In nome della “meritocrazia”, UNIBO, ER.GO – l’agenzia regionale per lo studio – e la Questura di Bologna definiscono un sistema burocratico di accesso – ed esclusione – allo studio che agisce sempre più come un ricatto sulle vite di studenti e studentesse, specialmente per coloro che sono migranti e lavorano o che hanno perso il sostegno del reddito delle loro famiglie. Le condizioni materiali in cui studenti e studentesse studiano sono dunque notevolmente peggiorate durante l’ultimo anno. Ciò riguarda anche la qualità della didattica e il sapere che UNIBO si vanta di erogare. Non soltanto le esigenze di contenimento del virus hanno radicalmente ridotto la possibilità di accedere a biblioteche, aule studio e spazi universitari. La possibilità prevista dall’ateneo di derogare dal nesso fra ore di lezione e crediti conseguiti ha portato in alcuni casi alla riduzione delle ore di insegnamento in classe, svalutando così ulteriormente un sapere già impoverito e standardizzato da anni di riforme.
L’ideologia “meritocratica” e il sistema burocratico della valutazione costante non riguardano solo studenti e studentesse, ma determinano una trasformazione più generale dell’Università secondo criteri produttivistici di tipo aziendale. Questa tendenza rischia di essere ulteriormente rafforzata dal Recovery Fund and Plan: l’Università vuole essere ridisegnata come piattaforma, una sorta di spin off per il mercato che lavora come un ente terzo di Ricerca & Sviluppo per le aziende. La scelta al Ministero dell’Università di Cristina Messa, già ex delegata per i fondi europei, lascia intendere che per i fondi e i progetti di ricerca si hanno in mente il modello dei noti fondi Horizon. La distribuzione di risorse sarà legata a doppio filo alla richiesta e alla misurazione costante di “risultati tangibili”, innovazione tecnologica ed “elaborazione di policy”, annullando di fatto l’autonomia della ricerca e della didattica in favore dell’allineamento alle esigenze della cosiddetta industria 4.0. In questo senso diviene sempre più centrale il ruolo della “Terza Missione”, il nome sotto il quale è raccolto un insieme eterogeneo di attività – dal public engagement alle attività per conto terzi – con le quali l’Università entra in rapporto con istituzioni e amministrazioni pubbliche, fondazioni e aziende. È ormai all’orizzonte, sia a livello di Ateneo che di ANVUR, la prospettiva di valutare docenti e ricercatori anche in base alle attività svolte per conto terzi: nel quadro della Terza Missione, ricerca e didattica assumono compiutamente la forma di una merce, “prodotto accademico” valutato sulla base della vendibilità sul mercato. Si delinea così un sistema integrato tra università e città in cui istituzioni e imprese hanno un crescente e preponderante ruolo politico ed economico nella definizione delle direttive per la ricerca e la didattica. In questo sistema l’Università-piattaforma richiede un sempre maggiore carico di lavoro in particolare ai precari e alle precarie della ricerca, costretti a competere per l’accesso a fondi attraverso progetti sempre più tecnici e continuamente valutati. La spendibilità sul mercato e la corrispondenza con gli interessi pubblici e aziendali sono i criteri attraverso cui si determinano i finanziamenti e la priorità di alcune aree di ricerca rispetto ad altre, creando una gerarchia fra discipline a discapito di quelle che non possono essere immediatamente messe a profitto.
Come Brain pensiamo che, in questa situazione, non è in alcun modo sufficiente la decisione di prevedere una sessione supplementare di laurea nel periodo estivo, decisione che l’ateneo ha preso soltanto in seguito alle proteste di studenti e studentesse. Pensiamo che ogni mora punitiva legata al pagamento delle tasse debba essere immediatamente annullata e che le tasse versate vadano rimborsate. Non accettiamo che il requisito del reddito venga valutato sulla base dell’ISEE relativo ai redditi del 2018, e rivendichiamo l’immediata sospensione del sistema dei crediti nell’erogazione delle borse di studio, nell’assegnazione degli alloggi, nell’esenzione delle tasse e nel rinnovo dei permessi di soggiorno per studio. Pensiamo che, se in seguito alla nuova organizzazione della didattica introdotta con la pandemia UNIBO non considera la rilevazione delle opinioni degli studenti per valutare i docenti, allora tutte le borse devono essere erogate e i permessi di soggiorno rinnovati d’ufficio a prescindere dai crediti. Reclamare uguaglianza significa contrastare la chiusura del sistema integrato fra università, città e società, rovesciando il loro rapporto a favore di studenti e studentesse, ricercatori e ricercatrici, docenti.
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