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"Per una presa di parola nazionale". Report tavola rotonda Brain – Didattica, Ricerca, Società



La tavola rotonda organizzata il 15 aprile 2021 da Brain_Unibo ha visto la partecipazione di più di 50 persone su zoom e decine stabilmente in contatto tramite la diretta online.

A partire dagli interventi iniziali di Brain_Padova, Rete dottorande/i di Padova, Docenti Università del futuro, Assemblea studenti, dottorandi, docenti di Urbino, Studenti e studentesse di Venezia, Student_ e Ricercat_ in lotta di Pisa, che hanno attivato un’ampia discussione collettiva, la tavola rotonda è stata l’occasione per confrontarsi con realtà che, in modi diversi, si sono mobilitate in questi mesi prendendo parola sulle trasformazioni che da tempo stanno investendo l’Università. Gli interventi hanno sottolineato, da angolature diverse, la necessità di affrontare con un discorso e un’iniziativa il più possibile condivisi i problemi e i processi più pressanti che la pandemia non ha prodotto, ma ha costantemente accelerato nell’ultimo anno.

Per la sua rilevanza, nel presente e in prospettiva, la Dad ha occupato una parte importante della discussione, nella consapevolezza che non si tratta solo di una soluzione emergenziale e che la sua stabilizzazione comporta il pericolo che si trasformi in una forma di erogazione di sapere di ‘serie B’, o di una concezione dell’università come erogatore di servizi professionalizzanti. Anche l’ipotesi ormai diffusa che la Dad sia destinata prevalentemente agli studenti lavoratori nell’ottica della ‘riqualificazione’ o ‘formazione permanente’ deve essere affrontata alla luce di questo rischio, considerando che quella degli studenti lavoratori è una figura sempre più presente in Università, anche per via degli effetti della crisi economica in corso che per molte e molti rende impossibile studiare senza essere contemporaneamente costretti a lavorare, ma senza identificarsi per questo con la condizione lavorativa. La Dad va criticata senza per questo scadere nell’elogio del passato, un’accusa che spesso viene rivolta a chi cerca di renderne evidenti le contraddizioni. È necessario sapere che, mentre apre possibilità di frequentare l’università per chi altrimenti non potrebbe riuscirci, la Dad non è la soluzione alle disuguaglianze di accesso allo studio ma anzi le riproduce e la sua critica non può quindi essere slegata da quella complessiva ai rapporti sociali. Gli investimenti sulla digitalizzazione e le tecnologie spesso sono stati l’unica forma di intervento sulle strutture universitarie. L’altra faccia della digitalizzazione della didattica è la strutturale mancanza di spazi e tempi di socialità, cooperazione, discussione: l’università sembra non voler rispondere alle molte rivendicazioni avanzate dagli studenti in termini di aule studio e servizi bibliotecari, ma allo stesso tempo mai come in questo periodo si mostra capace di incidere capillarmente sui processi di trasformazione (spesso a fine speculativo) del tessuto urbano. La Dad ha effetti sulla formazione – perché il mezzo condiziona il contenuto e lo impoverisce – ma anche sull’insegnamento: finita la pandemia il mondo dei corsi online potrebbe creare più precarietà, moltiplicando forme di reclutamento temporaneo e svincolando l’insegnamento dall’attività di ricerca. Essa produce processi di de-territorializzazione che impongono di ripensare le rivendicazioni in termini di accesso allo studio e ai mezzi necessari alla formazione al di là dei singoli atenei, in una connessione che permetta di mettere in questione i processi di gerarchizzazione sociale e formativa aprendo una battaglia su ciò che si intende per ‘diritto allo studio’ e reclamando uguaglianza.

La ricerca, oggi, è schiacciata tra le esigenze della programmazione manageriale delle risorse e, per i e le docenti, gli obblighi didattici che lasciano poco spazio allo studio. Chi invece è all’inizio della propria attività di ricerca, si è trovata completamente priva di indicazioni e misure di sostegno da parte dell’Università. A parte la parziale, e non omogenea, ricezione delle indicazioni di governo sulle proroghe, non sono stati presi provvedimenti di alcun tipo per ovviare agli effetti determinati dalla chiusura o dal funzionamento parziale dei laboratori, delle biblioteche e degli uffici. In modi diversi a livello di ateneo e nazionale dottorandi e dottorande hanno contrastato il mantra dell’arrangiarsi organizzandosi a livello collettivo e avanzando richieste di breve e lungo periodo: mentre non sono mai venuti meno gli obblighi produttivi e competitivi, è mancato il riconoscimento del loro ruolo in università ‒ anche quello di compensare le mancanze in termini di didattica ‒ e della fatica connessa a lavorare costantemente nel privato delle proprie abitazioni. La situazione di dottorande e dottorandi è comunque indicativa delle condizioni generali della ricerca nell’università aziendalizzata: si lavora quasi esclusivamente «a progetto», ovvero su procedure prestabilite, programmi di cui vengono specificati i singoli passaggi da seguire e di cui vengono preventivamente definiti gli scopi e gli obiettivi che è necessario raggiungere, riducendo al minimo le possibilità di sperimentazione e immaginazione. La ricerca non può essere ridotta a un’attività gestionale, né la critica delle sue condizioni attuali può essere slegata dalla comprensione di piani industriali che avvengono a livello almeno europeo e sono subordinati alla divisione internazionale del lavoro. D’altra parte, la subordinazione della ricerca a questi piani è una forma di ‘cattiva aziendalizzazione’ e costituisce un limite costante alla capacità di innovazione, relega la libertà della ricerca a tempi residuali rispetto a quelli imposti dalla caccia ai fondi e in definitiva chiude gli spazi di cooperazione e sviluppo dell’intelligenza collettiva, come pure le possibilità di trasformazione sociale che l’università è in grado di esprimere. Tutto questo si intreccia con la questione della valutazione: crediti, tirocini, laboratori, pubblicazioni progettazione sono parte di un sistema scandito e regolato dalla necessità di essere sempre produttivi che, con gradi diversi, esercita su tutti e tutte, dagli studenti ai docenti passando per chi fa ricerca, un potere che limita gli spazi di autonomia e produce costantemente gerarchie. Non è sufficiente opporre nostalgicamente all’Università-azienda un modello di formazione umanistico, ma di riconoscere che l’Università è parte di processi sociali che possono essere aggrediti soltanto riconoscendone le logiche e forzandole dall’interno.

È emersa inoltre l’esigenza di aprire uno spazio di riflessione capace di intercettare il personale tecnico amministrativo, che è parte integrante dell’Università e sta a sua volta subendo gli effetti delle trasformazioni che la investono sia in termini di condizioni di lavoro, sia per quanto riguarda le competenze e le funzioni. Il trasferimento su piattaforme di una parte del lavoro amministrativo in alcuni contesti sta determinando progetti di riconversione e messa a profitto degli spazi prima occupati dal personale, che rischia in tutti i casi di ritrovarsi isolato dalla vita complessiva del proprio ateneo, pur essendone parte, e quindi anche dalla possibilità di una presa di parola trasversale e coordinata. Inoltre, se già da tempo le funzioni amministrative di supporto alla ricerca e alla didattica sono state un canale di impiego per figure altamente formate che non hanno avuto accesso ai percorsi di reclutamento e di carriera canonici, per quanto precari, oggi le trasformazioni della didattica e della ricerca comportano sempre di più una domanda di valorizzazione delle competenze e del sapere che le vincola alla loro spesa produttiva e amministrativa, oppure aprono la strada a nuove figure ‘manageriali’ incaricate di gestire e garantire gli obiettivi dell’università-impresa. La comunicazione con il personale tecnico amministrativo nel suo rapporto con la precarizzazione e imprenditorializzazione della ricerca è quindi essenziale per sviluppare una visione complessiva delle trasformazioni in atto.

Tutti questi piani richiedono un’iniziativa coordinata e che allo stesso tempo non riproduca la subordinazione e marginalità cui siamo singolarmente relegati in università, perché la sua governance è del tutto esterna alle dinamiche che viviamo e critichiamo. Nella discussione è stata riconosciuta l’importanza di una iniziativa trasversale che tenga insieme docenti, studentesse e studenti, ricercatori, sapendo che questo richiede di affrontare anche le asimmetrie e gerarchie tra le diverse posizioni dentro alla cornice di un discorso complessivo. Per questo, oltre allo scambio di diverse prospettive su questi processi – capace di tenere conto delle varie figure che le stanno affrontando, delle molteplici prese di parola che si sono articolate in questi mesi, e dei diversi livelli di organizzazione esistenti nei singoli atenei ‒ è stata ampiamente condivisa la necessità di un coordinamento nazionale che permetta di avere la capacità di incidere su queste trasformazioni, di formulare un’idea dell’Università che non ceda alla semplice accettazione passiva delle trasformazioni in atto. Questo è il primo passo per immaginare iniziative – forme di sottrazione e interruzione della valutazione e produzione scientifica, uno sciopero esteso a tutte le figure che fanno e attraversano l’università – che in prospettiva possano anche dare forza a lotte e vertenze particolari senza rinunciare a far valere una prospettiva che coinvolga l’università nel suo complesso. Per questo, è stata creata una mailing list nazionale al fine di dare continuità ed espansività a questo percorso di scambio e coordinamento. Già in occasione del 5 maggio – quando a Bologna c’è stata una giornata di mobilitazione e intervento sull’Università ‒ a Padova un’ampia e partecipata assemblea pubblica di fronte al rettorato ha discusso e dato visibilità ai temi e alle rivendicazioni trasversali che in quest’anno pandemico hanno faticato a trovare spazio. In futuro, sarà importante produrre nuove iniziative che diano forza e risonanza alla nostra presa di parola su questi temi. Verrà realizzato, per questo, un foglio nazionale per mettere in circolazione elementi di interpretazione della realtà universitaria e dei suoi rapporti con la società, che ci metta a disposizione uno strumento di allargamento del discorso e dell’iniziativa a chi ancora non ne fa parte. Tutto questo dovrà andare nella direzione di organizzare un momento nazionale di incontro, auspicabilmente in presenza, all’inizio del prossimo anno accademico: le trasformazioni che ci hanno investito e che critichiamo avranno infatti effetti nel lungo periodo ed è importante dare ampio respiro alla nostra iniziativa.

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