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  • Immagine del redattoreBRAIN UNIBO

Transizioni nella relazione tra università e città e nuovi assemblaggi societari




Terza Missione

Negli ultimi tempi ha preso forma concreta un nuovo elemento strategico per lo sviluppo dell’ente universitario. Basta andare sul portale dell’Università di Bologna per vedere in evidenza, affiancato alle due ‘missioni tradizionali’ dell’università (didattica e ricerca), un ulteriore tassello definito “Terza Missione”, sotto il quale e raccolto un insieme eterogeneo di attività con le quali l’Università interagisce con l’ambiente extra-accademico e con la società.

Oltre alla promozione di attività formative in città e alla divulgazione scientifica, la Terza Missione consiste in particolare in una spinta ulteriore verso la ridefinizione dei rapporti tra università e sistema produttivo. Attraverso le sue attività l’Alma Mater presta sostegno diretto alla creazione di spin-off dalle proprie ricerche e alla nascita di start-up, proponendosi alle imprese come partner per valorizzare in termini di mercato le sue attività di ricerca e privatizza-re le conoscenze prodotte, con una spinta ai brevetti e al trasferimento tecnologico. L’Unibo si organizza inoltre come ente per la formazione dei dipendenti aziendali e per l’imprenditorialità, aprendosi ad essere un luogo “pubblico” per la Ricerca&Sviluppo delle aziende private.

La Terza Missione approfondisce l’ormai acquisito ruolo dell’ente universitario quale fabbrica di formazione della forza lavoro, delineando però nuovi scenari di integrazione del sistema formativo direttamente nel sistema produttivo – in un’ottica non solo di formazione continua, ma anche di vera e propria sponda per la ricerca e sviluppo e la formazione del personale per le imprese. La spendibilità sul mercato e la corrispondenza con gli interessi aziendali sono i criteri attraverso i quali si determinano i finanziamenti e la priorità di alcune aree di ricerca rispetto ad altre, creando una gerarchia dei sa-peri a discapito di quelli non possono essere immediatamente messi a profitto. L’università stessa diventa quindi uno spin-off del mercato.


Digitalizzazione

L’evoluzione della pandemia e in particolar modo le limitazioni alla mobilità imposte per il suo contenimento hanno accelerato i processi di digitalizzazione dell’università, iniziando a ‘sintonizzarla’ con le più ampie trasformazioni che caratterizzano la cosiddetta “rivoluzione industriale 4.0” e l’emergente “capitalismo delle piattaforme”.

Iniziano a delinearsi i contorni di una nuova sfera istituzionale digitale, la cui manifestazione più visibile sono corsi onlinee e app per prenotare le lezioni. Questo imprime un percorso di ‘deterritorializzazione’ dell'università che si innesta sulla tendenza di lungo periodo alla costruzione di una ‘università globale’, che ridefinisce le gerarchie lungo le catene globali del valore con specifici “ranking di qualità” e con un mercato globale del sapere (che ricostruiscono le posizioni di studenti/esse e lavoratori/ici dell’università). Per questo motivo abbiamo parlato di università come piattaforma della conoscenza e come laboratorio delle disuguaglianze. Un sistema volto alla formazione e all’immissione nel mercato di forza lavoro qualificata e semi-qualificata ma comunque precaria e differenziata in base al diverso grado di corrispondenza tra il percorso di studi scelto e le necessita del tessuto imprenditoriale.

Alle dinamiche di digitalizzazione e deterritorializzazione si accompagnano quelle di un’inedita riterritorializzazione, misurabile a Bologna nella progressiva dislocazione urbana per singoli poli disciplinari. Evapora la concezione di cittadella universitaria in favore di una ricollocazione verso nuove aree urbane per singoli e separati ambiti specialistici che va di pari passo con la rigida divisione per discipline. Parallela-mente, mutano le forme del vivere e abitare la metropoli, che vede l’integrazione tra i piani speculativi delle multinazionali dell’abitare (come ad esempio lo Student Hotel) e le politi-che istituzionali e comunali. Queste ultime, infatti, sono state incapaci di rispondere ai bisogni delle studentesse, degli studenti e della forza lavoro precaria dell’università, promuovendo invece sussidi sugli affitti a breve termine, che da una parte vanno a beneficio dei soli proprietari di immobili e dall’altra riproducono un modo di concepire lo spazio urbano analogo a quello delle piattaforme come Airbnb. Non solo la casa, ma la dimensione degli “spazi” (sia fisici che digitali) più in generale vive una trasformazione che plausibilmente andrà anche al di là della pandemia. Le forme di accesso e uso di aule didattiche, biblioteche, ma anche strade e piazze, vive di privatizzazione, esternalizzazione e di nuove barriere di accesso, nonché di nuove forme di disciplinamento.



A partire da questi due aspetti emergono una serie di elementi di inchiesta e ricerca politica da sviluppare rispetto ai cambiamenti in atto, nonché la necessità di incidere sulle tendenze di trasformazione e sulle loro contraddizioni. Mettiamo in evidenza due macro-vettori con le loro contraddizioni:

- Il Recovery Fund promette finanziamenti senza precedenti che amplieranno il bilancio dell’Università, ma nello stesso tempo lo piegheranno sempre più alle priorità stabilite dal rapporto - territoriale e non - con le imprese;

- Il processo di digitalizzazione dell'università riconfigura le forme di accesso e uso della città. Si apre da un lato un enorme campo di sperimentazione, ma dall’altro si configurano conseguenze negative non solo per chi inevitabilmente deve svolgere il proprio lavoro di ricerca in presenza, da o verso l’estero, ma anche e soprattutto per quelle e quei migranti che individuano nel permesso per studio un canale d’ingresso sul suolo italiano.


A tutto questo, si sommano altre questioni immediate esplose con la pandemia:


¨ La drastica diminuzione dei servizi e di “opportunità lavorative” per un gran numero di studenti e studentesse ha condotto a un ampliamento della no tax area, che tuttavia dovrebbe essere decisamente estesa anche a fronte della suddetta riduzione dei servizi cui non e corrisposto un abbassamento delle tasse. È allora possibile rivendicare un modello di università aperta e gratuita?

¨ E ancora: é possibile aprire spazi e immobili sfitti dell'università (e non solo) a favore di nuove forme di didattica, studio e dell’abitare?

¨ È possibile uscire dalla logica economica-amministrativa-organizzativa di disciplinamento che ad esempio alimenta il falso problema sicurezza/insicurezza manifestatosi in misure come l’adozione del “Codice Etico” di Unibo?

¨ La questione del reddito e del salario per chi studia e lavora all’università può essere radicalmente messa in discussione e ripensata?


Da queste domande bisogna ripartire per costruire percorsi di riflessione e organizzazione che indichino possibili risposte.

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