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  • Immagine del redattoreBRAIN UNIBO

Didattica on line. Contraddizioni e linee di continuità

Sul terreno della didattica, la pandemia ha determinato una situazione contraddittoria e intensificato problemi già presenti, che ora si compongono come tasselli all'interno di un progetto di trasformazione dell’università nel suo complesso.



Con l'inizio del nuovo anno accademico il rettore e il suo staff hanno tessuto le lodi della formula di didattica blended. Unibo ha affermato che la didattica mista e online e un successo, che le lauree sono in presenza, che la presenza e garantita in tutti i casi in cui e possibile. Tuttavia, a qualche mese di distanza dall’inizio della DAD abbiamo raccolto diversi elementi per fare un primo bilancio e a noi pare che il tono trionfalistico delle istituzioni universitarie sia soltanto una messa in scena dell’eccellenza.

L’esperienza di studenti, studentesse e docenti dimostra che le tecnologie utilizzate in questo periodo non sono tanto “smart” quanto vuol far credere Unibo. Esse hanno un pesante impatto sia materiale, sul luogo di vita, di studio o di lavoro, sia sulle relazioni tra studenti e studentesse e docenti. Bisogna smontare prima di tutto l'equazione tra innovazione didattica e innovazione digitale. Il presupposto di questa equazione è che la digitalizzazione massiccia e capillare dell’insegnamento comporti automaticamente un’innovazione nella didattica, legittimata in ogni suo aspetto dal carattere progressivo e neutrale della tecnologia. In realtà, la digitalizzazione della didattica presenta ambivalenze, limiti e possibilità, e i risultati dipendono sia dalle condizioni materiali, sociali ed economiche in cui le nuove for-me della didattica si applicano, sia dalla direzione specifica che l’ente universitario sceglie di imprimere alla trasformazione, prediligendo una direzione piuttosto che un’altra. Il problema non è chiaramente l’introduzione delle tecnologie digitali all’interno dell’esperienza didattica, che di fatto sta consentendo di continuare l’insegnamento in sicurezza durante la pandemia. Il punto è che la DAD sta facendo esplodere una serie di contraddizioni nelle modalità di accesso e trasmissione del sapere che erano già presenti da ben prima dello scoppio della crisi pandemica. Inoltre viene applicata dall’Università per accelerare trasformazioni di lungo periodo nella direzione di un impoverimento dell’insegnamento e della precarizzazione dei lavoratori universitari, de-gli studenti e delle studentesse e dei laureati.

C’è da registrare che soprattutto nei corsi più numerosi, gli studenti che seguono on line sono molti di più di quelli che preferiscono seguire in presenza, e questo non solo durante le ultime settimane in cui i contagi sono aumentati, ma sin da settembre. Tuttavia, per essere attivi sulla piattaforma bisogna avere i mezzi necessari: una buona rete wifi, una connessione stabile, una o più webcam funzionanti, un PC adeguato. Unibo ha pubblicato un bando per ottenere delle SIM, che non è stato tempestivo e non garantisce l'accesso a tutte le tecnologie richieste per poter fruire della didattica online. Sappiamo che la mancanza di questi mezzi crea, se non un’esclusione netta, una grave menomazione del percorso didattico. Inoltre, anche se è basata sulla tecnologia della distanza, la DAD ha una sua consistenza fisica. Lo sguardo delle e dei docenti entra nelle stanze di studentesse e studenti e, soprattutto nei momenti della valutazione, e uno sguardo deputato al controllo. Capita spesso che per sostenere degli esami venga richiesta una ripresa –talvolta anche con due videocamere ‒ della stanza in cui si trova chi sostiene l’esame, e che questa venga vista sia dal docente sia dall'intera platea della stanza virtuale. L’asimmetria dello scambio tra docenti, studenti e studentesse, viene esasperata fino al punto che i primi sono identificati con una posizione di sorveglianza che finisce per ostacolare ancora di più le possibilità di comunicazione reciproca e scambio. Inoltre, annullata la comunicazione fuori dall’aula – in quei corridoi e biblioteche dove riformulare autonomamente e criticare, insieme a colleghe e colleghi, quanto si è appreso, la DAD sembra incentivare una semplice acquisizione dell’informazione, e non la sua discussione critica segnando così la direzione verso un insegnamento e apprendimento come trasmissione funzionale di un sapere in pillole, privo di dialogo.

Tuttavia, in alcuni casi la DAD, tramite le chat nelle aule virtuali, ha favorito un aumento di interazione tra docenti, studentesse e studenti, permettendo di superare alcune timidezze, facilitando non solo la discussione legata al chiarimento di certi argomenti, ma anche il commento. Si tratta di una possibilità che indica la domanda e la pretesa, da parte delle studentesse e degli studenti, di essere parte attiva del processo di formazione, ma che verrebbe ancora più frustrata dalla registrazione delle lezioni e dalla loro trasmissione in differita, dove l’unilateralità del rapporto di insegnamento è esasperata. Eppure, anche su questo terreno ci sono contraddizioni aperte, poiché la registrazione delle lezioni e l'accesso a distanza alle classi sono viste con favore da molte studentesse e studenti, ad esempio per evitare il problema mai risolto delle sovrapposizioni delle lezioni.

La DAD ridefinisce il campo della privacy, che è gestita in modi diversi e funzionali agli scopi che di volta in volta l’Ateneo si prefigge. È sacra nella gestione dei protocolli sanitari, ma conta molto poco quando si tratta di entrare negli spazi privati delle studentesse e degli studenti oppure di tenere traccia di ogni attività svolta sulle piattaforme. Teams registra qualsiasi cosa, non si riesce a cancellare nulla, le stanze virtuali rimangono aperte, registra il numero di volte in cui una persona ha effettuato l'accesso alla stanza. L'altra piattaforma virtuale che registra un enorme numero di informazioni e IOL, ora chiamata Virtuale, utilizzata fin da prima della pandemia. Si creano condizioni fin troppo concrete per monitorare ogni aspetto dell’attività delle e dei docenti fino a metterne in discussione la libertà di insegnamento.

L’Università sta approfittando della transizione alle forme di insegnamento a distanza per rafforzare il sistema creditizio di quantificazione del sapere. Senza un ripensamento dei piani didattici, la DAD finisce per incentivare una semplice acquisizione dell’informazione, prediligendo un insegnamento e un apprendimento come trasmissione funzionale di “pacchetti” di conoscenze e piani didattici che non prevedono momenti seminariali, dialogo con e tra gli studenti, ma soltanto uno schema verticale che stabilisce chiare figure di autorità . L’unica forma di cooperazione e comunicazione che interessa nell’aula virtuale è quella governata dai criteri efficientistici. «Quante informazioni hai appreso?» è una delle domande presenti in un questionario diffuso negli scorsi mesi da Unibo, come se fosse possibile quantificarle al netto della capacità di guardar-le con occhio critico e di maneggiarle. La stessa ossessione per il controllo degli studenti ha effetti anche sul tipo di esame che viene somministrato alla fine dei corsi. Sempre più spesso per gli esami a distanza si prediligono modalità che impediscano di copiare. Come? Ad esempio, dando meno tempo, creando test con domande a risposta multipla in modalità sequenziale, di modo che non si possa tornare indietro e cambiare la risposta precedente. La verifica che viene richiesta è quella dell’acquisizione di un sapere codificato, standardizzato, da tutti i punti di vista controllato.

In questi processi noi vediamo non la semplice gestione di una situazione eccezionale, bensì il tentativo di realizzare, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie della distanza, un progetto a lungo termine che va ben oltre l’emergenza della pandemia. Dentro trasformazioni di cui ora siamo testimoni si sta provando a legittimare con le retoriche della tecnica e dell’efficienza una serie di idee e di progetti che circolano già da qualche anno sia in Italia che all’estero: è l’ambito del Learning Analytics, in cui lo studente in ingresso viene definito come un “semilavorato pregiato”, e lo studente che si laurea costituisce l’output, il pro-dotto, dell'industria-università. In questo quadro l’università è pensata semplicemente come una fabbrica della società, e per le sue operazioni diventano indispensabili gli strumenti per valutare continuamente i risultati di apprendimento in termini misurabili, predire il successo accademico degli studenti stessi. Questa fabbrica produce evidentemente delle merci sempre più povere, perché il loro valore in termini di sapere e di autonomia viene qualificato e quantificato continuamente, perché sono pensate in un indirizzo specifico, ovvero la domanda della società. Il fatto di assicurarsi che lo studente abbia acquisito una serie di skills e un sapere standardizzato e settoriale diventa essenziale per produrre figure altamente specializzate ma anche continuamente sostituibili e intercambiabili all’interno dei processi produttivi, in modo evidentemente funzionale al processo generale di precarizzazione dei contratti di lavoro e delle vite.

Il nostro obiettivo è tenere insieme docenti e studenti nello sviluppo della nostra discussione, perché non possiamo limitarci a osservare questi processi da un’unica prospettiva: é necessario innescare una comunicazione e una cooperazione che coinvolgano tutti coloro che sono dentro l'università e approfondire i punti che richiedono ulteriori ragionamenti collettivi. Non si può seguire il percorso che Unibo ora vuole imporre, né tornare al modello di università precedente. Unibo sta utilizzando la DAD per accelerare e intensificare trasformazioni dell’Università che già contestavamo, approfittando della situazione di emergenza per imporle senza il confronto con chi l’università la vive e la anima quotidianamente, studenti e studentesse, ricercatori e ricercatrici, docenti. È urgente ragionare su questi temi, che vanno posti all'interno di una riflessione condivisa, per dare spazio a voci diverse rispetto a quelle fatte circolare da Unibo, che presenta e induce a seguire specifici modelli di didattica, troncando le nuove possibilità sperimentate autonomamente o incanalandole all'interno di uno schema già deciso.

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